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L’iniziativa editoriale Ars Regia, assieme al suo complemento Rebis in Arte Regia, corona un progetto in fase di gestazione da diversi mesi: risvegliare, dando forza e vigore, all’omonima pubblicazione che tra il 1992 e il 1993, sotto la medesima direzione editoriale, produsse una Rivista di studi e ricerche sulla tradizione iniziatica occidentale ed orientale.

Dedicherò le ultime pagine di questo primo numero ad una misteriosa testimonianza rinvenuta da Carlo Hoede nell’ambito della storia e della simbolica della Libera Muratoria Operativa, custode dell’assetto operativo dei mestieri.

In queste righe, invece, mi riprometto di seguire la corrente iniziatica verso la sua fonte, l’Ars Regia. Questo termine, infatti, non fu scelto nel 1992 – né ora viene ripreso – come una tra varie ipotizzabili opzioni editoriali, bensì in quanto unica soluzione possibile per definire il programma conoscitivo ed operativo sotteso.

La storia della Sapienza universale, quella Sophia Perennis ai cui mille rivoli le tradizioni hanno attinto, ci offre allegorie, parole, miti, racconti, simboli, visioni. Da Zosimo di Panopoli al Re Pescatore, dalle favole greche ed egizie alle scene del Mutus Liber, la mente razionale si sente esortata al silenzio, così tanto spesso indicato con perentorio gesto all’ingresso di luoghi sacri ed iniziatici: un nuovo spazio si apre per andare oltre la lettera o la grafica dei testi nella direzione del loro quadruplice senso.

È nota, infatti, la pur scolastica (e spesso banalizzata) articolazione che Dante espressamente insegna nel Convivio, secondo cui “le scritture si possono intendere e deonsi sponere massimamente per quattro sensi“. Di essi, l’allegorico ed il morale saranno ampiamente lumeggiati da Ju- lius Evola ne Il mistero del Graal e la tradizione ghibellina. È tuttavia il senso anagogico che ci interessa porre qui in evidenza: etimologicamente significa “traente in alto” ed indica, in quella quadripartizione, il primo (ed unico) livello in cui si passa dalla dimensione orizzontale alla direzione verticale, dal Nadir verso lo Zenit, fine vero della pratica dell’Arte Reale.

Reale e regia sono aggettivi che richiamano la corte, da cui un altro aggettivo che presto ritroveremo, cortese, passato a designare nel linguaggio profano una caratteristica dei modi, un’educazione, ma che anzitutto si riferisce ad un luogo, la corte appunto, poiché il sistema dei processi iniziatici avviene all’interno di uno spazio sacro, in cui l’elemento maschile incontra l’elemento femminile. È la dimensione cavalleresca: non v’è Cavaliere senza un altro da sé di natura femminile che è la dama, la donna, domina, colei che governa il castello, la parte più riservata e attende il ritorno, la la real-izzazione. È tutto questo – e molto altro – che viene rappresentato attraverso la configurazione ermetico-simbo- lica della Cavalleria Sacra. il processo di trasformazione, di ritorno, di apocatastasi di reditus ad unum, un processo che non ha mai fine, perlomeno finché l’esistenza dell’artista si esprime e manifesta sul piano fisico, sul piano dei quattro elementi: terra, aria, acqua, fuoco. Eppure, sovente, nell’at- tenzione del lettore moderno, il senso anagogico si dilegua nell’allegoria, se non nella metafora.

Nelle ultime pagine di questo primo numero, parleremo di Mose e del serpente di bronzo, qui vogliamo ricordare un altro episodio del Pentateuco: Ha-Shem ordina a Mosé di fare un altare di pietra ma… senza toccarla con lo scalpello (cfr Esodo 20,25), pena rendere profana quella pietra, indiriz- zando così il lettore verso qualcosa di diverso dal fare, ovvero verso il formare, un formare pietrificando qualcosa. Il sospetto che si tratti di qualcosa di simile alla pietrificazione di certe acque che

conosciamo dalla tradizione alchemico-ermetica è con- fermato da un passo che potremmo definire il reciproco di quello appena visto e che è tratto dal Libro dei Numeri, laddove nel deserto vediamo Mosé percuotere con la verga una pietra facendone scaturire, ancora, acqua. L’evento a sua volta richiama le raffigurazioni del Fulcanelli in merito alle prime operazioni dell’artista.

Ebbene, pietrificazione-liquefazione, corporificazione-spiritualizzazione: l’elemento materiale è trasmutato ad un livello più alto ed il tratto essenziale dell’uomo, condensato di spiritualità corporea e di corporeità spiritualizzata maturate in questo esistenza, sarà ciò che sopravviverà, ciò che potrà varcare vivente la soglia dell’Oriente Eterno.

In altre leggende, è il Libro dei Re che, attraverso il simbolismo della battaglia siro-efraimita e, in particolare, l’esposizione didascalica della lotta contro gli Assiri, ci trae nell’ordine della theosis del Dio nell’uomo, del Sacro Tetragramma, del rapporto tra le lettere di quest’ultimo, le quattro operazioni filosofiche dello spirito umano, il quaternario (fisicità) ed i quattro elementi.

Passaggi che sarebbero impossibili da cogliere se si rimanesse prigionieri dell’oziosa dualità tra alchimia materiale e concezione dell’Arte Reale come atteggiamento mistico, palingenesi psichica o esercizio filosofico-mentale. Approfondiremo, continuando i nostri studi e ricerche, il suo carattere di vera e propria scienza esatta, una scienza sacra, o, meglio, la Scienza del Sacro, che studia e  indica procedimenti, forze, elementi, stadi, transizioni, operazioni così concrete e tangibili da richiedere di essere espressi con certi determinati simboli e non altri, in ogni tempo e in ogni luogo, indipendentemente dai rapporti che le varie culture possono avere tra loro. Lo stesso tempio massonico è stato da noi spesso rappre- sentato come un mandala, nel cui ambito non ci si può permettere di giustapporre in modo sbagliato simboli che rappresentano forze cosmiche.

I più antichi simbolismi noti in occidente risalgono all’antico Egitto (un discorso a parte meriterebbero le tradizioni dell’Oriente Antico). Parliamo di una tradizione regale-sacerdotale risalente a circa 4000 anni a.C. che indichiamo sovente affiancando altri due aggettivi, anch’essi cruciali: parliamo di tradizione regale sacerdotale nilotico-mediterranea. Quegli apparati simbolici giungeranno sino ai nostri giorni sovente incompresi dalle religioni stesse che li hanno tramandati.

Un ruolo importante lo ebbe il mondo greco che si servì di tutto il simbolismo esistente e – sebbene non in età classica, ma in epoca presocratica prima ed ellenistica poi – ne creò di nuovi: l’uno aritmetico ad opera di Pitagora, che passerà nella Qabbalah ebraica e, attraverso questa, ritornerà nell’ermetismo rinascimentale; l’altro in età ellenistica, il linguaggio alchemico avviato con le Visioni di Zosimo di Panopoli, ma che comunque ha antecedenti nella Valle del Nilo.

Nel frattempo, il monoteismo trionfante nelle tre religioni abramitiche impediva che il depositum artis potesse continuare ad essere affidato ad un simbolismo anagogico politeista.

Da una parte, per il mondo cristiano e musulmano, l’alchimia, e dall’altra, per il mondo ebraico, la Mistica della Merkabah prima e la Qabbalah poi, assunsero il compito di garantire la compatibilità degli antichi misteri con la nuova visione religiosa e di rendere possibile la conservazione di tutta la tradizione iniziatica.

Più avanti nei secoli, l’innesto di elementi della tradizione egizia nei rituali delle gilde di mestiere e della Libera Muratoria sarà opera di maestri che a loro volta avrebbero studiato la tradizione italico- mediterranea, per poi lasciarne traccia esplicita nelle note a margine degli stessi Statuti e Regolamenti dell’Ordine.

Del resto, già Elias Ashmole fu fervente studioso di John Dee, iniziato all’arte ermetico-alchemica dell’antico Egitto, e ne lasciò ampia testimonianza nei suoi lavori sui rituali.

Ecco, a grandi linee, una prima e superficiale ragione dello stratificarsi di immagini, della sovradeterminazione simbolica, che sposso sgomenta il neofita, ancora guidato dalla mente razionale a fare ordine nella materia attraverso applicazioni puntuali della corrispondenza biunivoca.

Restano comunque palesi alcune costanti, al di là della policònia dell’apparato iconografico. Piccolo e Grande Magistero, Quaternario, articolazione del 3, del 7 e del 12. A quest’ultimo proposito si dedica un mero cenno alle sublimazioni e alle moltiplicazioni – il cui prodotto, peraltro, è 72 – il cui fine è la moltiplicazione del Corpo di Gloria o in qualunque altro modo si voglia definire il fine dell’Opera. Poco sopra si parlava di reditus ad unum. Ma si parlava anche di acque pietrificande.

Il pensiero va a certe acque madri, elemento, sostanza primordiale, in cui le anime, hanno preso forma, quella sostanza nota agli alchimisti ancora come prima materia, estremamente sensibile, plasmabile, fonte sostanziale prima di ciò che poi, formato, verrà proiettato nel quaternario, per subire una serie di passaggi, la cui descrizione non si addice ad un mero editoriale di presentazione, se non per chiuderla con un richiamo, dopo le parole riservate al quaternario e agli spazi sacri: l’esortazione a considerare la proprio corporeità, la propria stessa fisicità come un tempio.

Poche parole su questo primo numero, dedicato al rapporto tra linguaggi musicali e lingua degli angeli. Ringraziamo gli autori dei preziosi contributi che spaziano dalla Tradizione Sufi (Giovanni Amolini), alla Musica di Hesdin (Luca Dragani) al Magister Musicae del Giuoco delle Perle di Vetro (Navim Lynds) fino a chiudere con la poesia di Manrico Murzi intitolata Jazz e Battigia.

Segnaliamo infine un’iniziativa: il Comitato di redazione di Ars Regia ha diramato un Questionario sul Sacro, le risposte al quale andranno a formare il prossimo numero monografico della rivista. Tuttavia, poco prima di andare in stampa è pervenuta la risposta del prof. Ezio Albrile, sto- rico ed antropologo delle religioni, che, curiosamente, senza che questo fosse indicato nel questionario, né che fossero intercorsi accenni con l’autore, verte su un particolare momento della storia della musica, che è oggetto di questa prima uscita. Abbiamo pertanto deciso di anticiparne qui la pubblicazione.

Lo ringraziamo ed auguriamo a tutti buona lettura.

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